Linguaggio e lavoro, ecco la storia di un’evoluzione mai compiuta.
In molte organizzazioni la gerarchia conta ancora, immutata, quasi inesorabile. L’unica forma di divisione delle responsabilità che assicuri il governo, o meglio il controllo. Niente di male, se funzionasse sempre.
Quello che mi lascia perplesso non è il concetto di capo o responsabile, quanto il linguaggio (e dunque la forma mentis) “militare” che è rimasto attaccato ai modelli organizzativi, e le conseguenti differenze di trattamento. Questo impatta sulle motivazioni delle persone.
Osservazione 1: ad esempio, come è possibile che nell’era della collaborazione e dell’abbattimento dei silos organizzativi le unità di lavoro si chiamino ancora “divisioni”, con tutti i suoi derivati: capo divisione, dipartimento, intra-divisionale poi… una parola spettacolare. E ancora il “capo” e il “grande capo”, con annesso rumore di tacchi in avvicinamento, suono della paura. Anche “riporto” e “alle dipendenze di” non sono male.
Il lavoro cambia e, a parte l’inglese che salva le apparenze e nobilita i task (tutti sono manager), le organizzazioni non adeguano il linguaggio ai tempi.
Osservazione 2: ad esempio, come è possibile che ci siano ancora differenze di trattamento che risentono di un gerarchia militare da “circolo ufficiali”: il parcheggio dei dirigenti, i tavoli riservati. Il blackberry e il rimborso spese, la stampante a colori e l’agendina di pelle vera.
Il lavoro cambia e la collaborazione aumenta, le organizzazioni non eliminano inutili e pericolose diseguaglianze.
Osservazione 3: ad esempio, come è possibile che il valore dei team non sia riconosciuto dall’azienda con messaggi chiari. La comunicazione aziendale racconta dei singoli, manager o dipendenti meritevoli di qualcosa. L’organigramma e i database espongono i nomi e alcuni codici non sempre comprensibili. Il rapporto di lavoro resta l’unica la chiave per interpretare l’organizzazione, l’io nel contesto, mai il noi, la relazione.
Il lavoro cambia e, a parte la leadership di coloro che coordinano le persone, le aziende non valorizzano i gruppi rispetto ai loro responsabili, alle competenze espresse.
Quanto è lunga la strada da fare per modificare l’organizzazione e renderla più adeguata ai nostri tempi?
Da alcuni anni stiamo studiando le forme alternative di organizzazione: reputiamo ancora necessaria una divisione dei compiti e delle responsabilità ma riscontriamo, sempre più spesso, la forza dei team e delle collaborazioni trasversali. Oggi, più di prima, la capacità dei manager è necessaria per la sopravvivenza delle aziende, ma sarebbe più efficace comunicare la forza del team assieme a quella del suo team leader. La competenza del responsabile è quella che valorizza la collaborazione, ma la collaborazione non nasce da un ordine, da un comando. Forse non abbiamo più bisogno di Generali che guidano le armate, ma di Corpi Scelti, tutti per uno, uno per tutti, forse meno ‘in vista’ ma più motivati, più veloci, più efficaci.
Motivare i colleghi è difficile, motivare i propri collaboratori lo è ancora di più; tutto diventa impossibile se le aziende non creano le condizioni di parità e trasparenza dei ruoli necessarie a riconoscere il valore del lavoro di ognuno. Allora quanto è difficile fare il capo? Comunicare e motivare? Parlare la stessa lingua?
Per scoprirlo provate ad inserire in Google search le seguenti parole “il mio capo” e leggete i suggerimenti di ricerca che non sono proprio tutti positivi… Anche da qui parte – o non parte – la collaborazione.
Caporal Maggiore Giuseppe
vittorio
March 26, 2013
Sono d’accordissimo con questo commento, ed ora dopo svariate esperienze di aziende di questo tipo,,,,beh,,,mi sento disadattato a questa società o per lo più a queste “innovative aziende”…Son sempre solare, gran coinvolgitore, ed empatico….ma ti rendi conto che vai a scontrarti con due mondi diversi e col tempo non regge.
Riuscirò a trovare un team che sappia apprezzare senza pregiudizi, queste sfumature uniche e personali e condividerle insieme…????
Caporal Maggiore Istruttore Vittorio